LA CORTE DEI CONTI

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza di remissione alla Corte
costituzionale  sui giudizi di conto, iscritti ai nn. 16114/G.C.E.L -
16115/G.C.E.L  -  16117/G.C.E.L  -  16118/GCEL  e  16119/G.C.E.L. del
registro  di  segreteria  ed  aventi  ad  oggetto i conti giudiziali,
relativi  agli  esercizi  1998, 1999, 2000, 2001 e 2002 del Tesoriere
del  Comune  di  Chieti, per i quali e' disposta la riunione ai sensi
dell'art. 274 c.p.c.;
    Uditi,   nella  pubblica  udienza  in  data  5  aprile  2006,  il
magistrato relatore, dott. Giacinto Dammicco ed il rappresentante del
pubblico ministero dott. Eugenio Musumeci;
    Esaminati gli atti ed i documenti.

                          Rilevato in fatto

    Con relazione n. 234 del 21 settembre 2005 il magistrato relatore
sul conto del Tesoriere del Comune di Chieti ha chiesto al presidente
della sezione che fosse rimesso al Collegio il giudizio sul conto del
tesoriere  del  comune  per  l'esercizio  1998, mediante iscrizione a
ruolo ai sensi dell'art. 30 del r.d. 13 agosto 1933.
    Con  decreto  presidenziale  datato  4  ottobre 2005 l'udienza e'
stata  fissata  ad  oggi  5  aprile  2006, dandone comunicazione agli
interessati in uno alla relazione del predetto magistrato.
    Le risultanze della suddetta relazione sono le seguenti:
        nel   Titolo   I   delle  entrate  risultano  residui  attivi
conservati   e  stanziamenti  definitivi  di  bilancio  pari  a  Lire
33.060.343.385  e  riscossioni pari a Lire 20.840.924.061; nel Titolo
II   delle   entrate   risultano   residui  conservati  pari  a  Lire
25.329.215.910  e riscossioni pari a Lire 1.367.729.410, stanziamenti
definitivi  di bilancio pari a Lire 29.894.503.834 e riscossioni pari
a  Lire  503.626.421;  nel Titolo III delle entrate risultano residui
conservati  pari  a  Lire  7.874.976.193  e  riscossioni  pari a Lire
4.221.540.220,  stanziamenti  definitivi  di  bilancio  pari  a  Lire
9.563.756.465  e riscossioni pari a Lire 4.543.305.543; nel Titolo IV
delle entrate risultano residui conservati pari a Lire 25.329.215.910
e  riscossioni  pari a Lire 1.367.729.410, stanziamenti definitivi di
bilancio  pari  a  Lire  24.810.034.795  e  riscossioni  pari  a Lire
1.779.926.650;   nel   Titolo   V  delle  entrate  risultano  residui
conservati  pari  a  Lire  17.481.678.382  e  riscossioni pari a Lire
1.989.695.940;
        non  risulterebbero riscosse svariate voci di bilancio, ed in
particolare  proventi da locazione, oneri di urbanizzazione, proventi
da  parcheggi,  proventi  da impianti sportivi, proventi del servizio
acquedotto;
        il  Collegio  dei  Revisori  ha  invitato l'Amministrazione a
prestare  particolare  attenzione  alle posizioni morose, ha rilevato
ritardi  nella  riscossione  dei  crediti, ritardi derivanti in buona
parte dalla scarsa attenzione prestata dai dirigenti responsabili dei
singoli servizi che si sarebbero dovuti attivare in maniera adeguata;
        in  sede  di adozione della deliberazione di approvazione del
rendiconto,  sono  state  espresse da un consigliere comunale riserve
sulla  reale  consistenza  dei  residui  attivi ed e' stata diffidata
l'amministrazione  comunale  di  Chieti  ad  utilizzare  l'avanzo  di
amministrazione,  con  richiesta alla Corte dei conti di quantificare
il relativo danno.
    Nelle  relazioni  del competente magistrato riguardanti gli altri
esercizi,  oltre analoghe risultanze, sono inoltre emerse le seguenti
criticita':  per  il  1999  (relazione  n. 235/05) si sono registrati
inviti del Collegio dei Revisori a limitare le consulenze esterne e a
procedere  al  recupero di canoni di locazione, e sono stati avanzate
in  consiglio  comunale  riserve  sulla reale consistenza dei residui
attivi   e  sull'equilibrio  di  bilancio;  per  il  2000  (relazione
n. 236/05)  in  sede  di  consiglio  comunale  e'  stato segnalata la
necessita'  di  una  adeguata  ricognizione dei residui attivi, sulla
loro  entita'  ed incidenza percentuale rispetto agli accertamenti, e
sulla  loro  natura prevalente di crediti inesigibili in quanto assai
risalenti; per il 2001 (relazione n. 237/05), oltre alle perplessita'
sulla  esigibilita'  dei residui attivi espresse in sede di consiglio
comunale,  si  e' rilevata la forte incidenza dei 23 miliardi di lire
di   residui  passivi;  per  il  2002  (relaz.  238/05),  oltre  alle
criticita'   relative   ai   residui  gia'  rilevate  negli  esercizi
precedenti,  e'  stato  precisato che il rendiconto della gestione e'
stato  approvato  con  il verbale di deliberazione del Commissario ad
acta (seduta 21 novembre 2003).
    Il magistrato relatore ha chiesto la remissione al collegio anche
dei  conti  per tutti questi altri esercizi. E' seguito per ciascuno,
in  data  4  ottobre  2005,  il  pedissequo  decreto presidenziale di
fissazione d'udienza per oggi.
    Non  constano  successive  allegazioni  documentali  o  deduzioni
provenienti dall'ente locale o dal tesoriere.
    Nell'udienza  in  data  odierna  il  rappresentante  del pubblico
ministero  ha  preso  atto  delle anomalie evidenziate negli atti del
giudizio,  riservando alla Procura eventuali seguiti di competenza in
ordine  alla  esistenza  di eventuali fattispecie di resposabilita' a
carico degli amministratori, al momento della remissione alla Procura
medesima  degli atti in questione e concordando peraltro con i dubbi,
sollevati  nella  relazione,  di  costituzionalita'  dell'intervenuta
normativa  che,  avendo  limitato  la pronuncia alla sola gestione di
cassa,   preclude   oggi   al   giudice  contabile  di  accertare  la
effettivita' del risultato di gestione.

                            D i r i t t o

    1.  -  Preliminarmente  viene  disposta  la  riunione dei giudizi
16114/GCEL,  16115/GCEL, 16117/GCEL, 16118/GCEL e 16119/GCEL ai sensi
dell'art. 274 c.p.c., per evidenti motivi di connessione, trattandosi
dei  conti  di  cinque esercizi consecutivi del medesimo tesoriere ed
ente locale.
    2.   -   I   molteplici  profili  di  criticita'  nella  gestione
finanziaria  del  Comune di Chieti, nella misura in cui si riflettono
in   anomalie,  riscontrate  in  sede  di  revisione  nel  conto  del
tesoriere, sono apparsi in sede di remissione al Collegio ed anche in
sede   di   valutazione  da  parte  di  quest'ultimo,  meritevoli  di
approfondimento e considerazione.
    Non  e'  possibile  superare, in assenza di ulteriori chiarimenti
dall'ente locale e in mancanza di approfondimenti istruttori da parte
di  questa  sezione,  i  dubbi  espressi dal magistrato relatore, che
sembrano  trovare  riscontro  nella documentazione depositata e nella
discussione consiliare, evidenziandosi:
        a)  un'allarmante  consistenza  dei residui attivi, risalenti
per di piu' ad esercizi lontani;
        b)  il costante e rilevante ripetersi di iscrizione di debiti
fuori bilancio, da finanziarsi con l'avanzo di amministrazione, quale
esposto nel conto;
        3)  l'ingente  ammontare di pagamenti per interessi passivi e
spese giudiziarie;
        4) il crescere del fondo di cassa, rispetto al quale andrebbe
accertato  se  siano  stati  effettuati,  come  per legge e nei tempi
dovuti, i pagamenti;
        5)   la   mancata  previsione  o  il  mancato  accantonamento
prudenziale  di  fondi  atti  a  finanziare il reintegro del capitale
delle societa' a partecipazione pubblica deficitarie;
        6) la circostanza che il Comune di Chieti ha gia' affrontato,
pochi anni or sono il procedimento di dissesto finanziario.
    Nell'occasione  il  collegio  non  puo'  fare a meno dal rilevare
come,  sulla  scorta  di diverse istruttorie espletate nella regione,
numerose amministrazioni fanno ricorso al mantenimento in bilancio di
somme  rilevanti di residui attivi, datati nel tempo, alla iscrizione
in bilancio di entrate notevolmente sopravalutate (donde si spiega il
forte  scostamento  tra  accertamenti e riscossioni), al rinvio della
registrazione dell'impegno per spese gia' effettuate o commissionate,
al  rinvio  dei  pagamenti  per  spese invece gia' impegnate, sia con
l'intento  di  rispettare  le  limitazioni  imposte  dal  legislatore
nazionale   nelle   leggi   finanziarie   e  nei  provvedimenti  c.d.
taglia-spese,  sia per dar luogo ad un avanzo di cassa che, assommato
alla   gestione   dei  residui  attivi,  determini  un  risultato  di
amministrazione  positivo,  con  il  quale si finanzia la spesa fuori
bilancio, spesso di natura corrente.
    3.  -  Cio'  premesso,  il  collegio ricorda che, a seguito della
entrata  in vigore dell'art. 58 della legge n. 142/1990, recepito dal
T.U.  n. 267/2000,  art. 93, comma 2, l'oggetto del presente giudizio
e'  stato  limitato  al conto del tesoriere (che rappresenta solo una
parte  e  per di piu' quella di mera esecuzione del conto di bilancio
dell'Ente, che e' invece un bilancio misto, di competenza e di cassa)
e  cio'  ha precluso tra l'altro, a questo giudice l'accertamento sul
merito  giuridico  e contabile delle poste di bilancio e la pronuncia
sulla  effettivita' del risultato finale di bilancio, diversamente da
quanto  consentiva l'abrogata legislazione, e segnatamente l'art. 226
del  regolamento  di  esecuzione  della  legge comunale e provinciale
approvato con r.d. 12 febbraio 1911, n. 297 - sulla base del bilancio
consuntivo  -  che  veniva  depositato alla Corte in uno al conto del
tesoriere ai sensi dell'art. 310, comma 4, abrogato dall'art. 274 del
d.lgs. n. 267 del 18 agosto 2000.
    Cio'  rende  quindi  la pronuncia di questo giudice nella materia
largamente  inadeguata  anche  sotto  l'aspetto  della  verifica  del
rispetto  dei principi di universalita', integrita' e veridicita' del
bilancio,  nonche'  del  rispetto  delle  regole  poste  con le leggi
finanziarie in relazione al patto di stabilita' interno.
    Il  Collegio  non  ignora  che con sentenza n. 378 del 16 ottobre
1996  la  Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione
di  legittimita'  costituzionale degli artt. 58, comma 2, e 64, comma
1,  della  legge  8  giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie
locali),  sollevata,  in  riferimento  agli artt. 3, primo comma, 97,
primo  e  secondo  comma,  e  103, secondo comma, della Costituzione,
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia.
    Ma  -  alla  stregua di una rilettura delle argomentazioni svolte
dal  Giudice delle leggi alla luce delle radicale riforme intervenute
successivamente    alla   pubblicazione   della   stessa   e   dunque
dell'innovato  quadro  normativo  -  sembra  a  questo giudice che la
questione   possa   ed   anzi  debba  riprospettarsi,  non  apparendo
manifestamente  infondata,  ed  in  relazione  all'allarme che si sta
diffondendo  presso  l'opinione  pubblica  sulla  realta'  dei  conti
pubblici.
    A tale riguardo occorre rilevare:
        a)  la  norma  di cui all'art. 46 della legge n. 142 del 1990
che sottoponeva al sindacato di legittimita' il bilancio preventivo e
il  conto consuntivo da parte del comitato regionale di controllo, la
cui  verifica  comprendeva  non  solo  la  legittimita' degli atti di
gestione,  ma  la  loro coerenza interna e la corrispondenza dei dati
contabili  con  quelli  delle  deliberazioni, nonche' con i documenti
giustificativi allegati alle stesse e' stato abrogato;
        b)  e'  residuato  il  solo controllo rimesso al collegio dei
revisori,  il  quale  e' organo interno dell'Ente e non provvisto dei
necessari  requisiti di autonomia dal potere politico che possano far
ritenere   la  pur  importante  funzione  avulsa  da  condizionamenti
diversi.
    Se  e'  vero che la legge pone a carico dei revisori l'obbligo di
referto al consiglio comunale o provinciale su gravi irregolarita' di
gestione    con    contestuale    denuncia   ai   competenti   organi
giurisdizionali  ove si configurino ipotesi di responsabilita', e che
l'art. 1, comma 3, della legge n. 20 del 1994, stabilisce che qualora
la  prescrizione del diritto al risarcimento del danno sia maturata a
causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del
danno  erariale  i  soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia
tali   disposizioni   possono  al  piu'  valere  come  richiamo  alle
responsabilita'  dei  singoli,  ma non a corrispondere alla richiesta
avanzata  in  questo  e  negli  altri  giudizi  da parte degli stessi
amministratori  o da componenti l'opposizione (preoccupati di trovare
la  cassa  vuota  quando  vengano  chiamati  a rispettare gli impegni
assunti   dinanzi   agli   elettori)  che  richiedono  una  pronuncia
«accertativa»  delle  risultanze  di bilancio, con eventuale modifica
degli  stessi  -  sicuramente  da  condursi  in  contraddittorio  con
l'amministrazione sulla base del novellato art. 111 Cost., cosi' come
la legge consentiva prima del 1990.
    Con  cio'  non  si intende sminuire l'importante ruolo svolto dal
collegio   dei  revisori,  la  cui  attivita'  non  puo'  che  essere
propedeutica  e  necessaria  ai  fini del definitivo accertamento del
giudice  contabile, ma semplicemente far rilevare il maggior grado di
affidabilita'  di cui gode la Corte per Costituzione, che, per la sua
posizione  di  indipendenza dal Governo, come e' dimostrato in questo
giudizio  ed in quello relativo al Comune di Scanno anch'esso rimesso
per  il  giudizio di costituzionalita', dal fatto che sono gli stessi
componenti  del  consiglio  comunale  o  capi  di  amministrazione  a
chiedere  al  giudice  contabile,  anziche' ai revisori, la pronuncia
sulla gestione.
    Cio' attesta l'esistenza, in questo nuovo assetto istituzionale e
politico, di una rafforzata domanda di certezza sulla consistenza dei
fondi   realmente   disponibili,   che  solo  un'istituzione  a  cio'
espressamente   delegata   dalla   Costituzione   con  l'art. 103  e'
legittimata  a  soddisfare,  quale  giudice competente «in materia di
contabilita' pubblica».
    Va notato, per incidens, che analoga esigenza si pone per i conti
dello  Stato,  come  e' dimostrato dalla proposta avanzata da qualche
parte  politica  di  una nuova autorita' sui conti, senza pensare che
per  Costituzione  a tali funzioni e' delegata, appunto, la Corte dei
conti,  di  cui  va  recuperata  la funzione accertativa, ridotandola
degli strumenti necessari;
        c) non esiste conflitto o duplicazione di interventi rispetto
all'azione  di  responsabilita'  rimessa al Procuratore regionale, il
quale  agisce  per individuare specifiche responsabilita' a carico di
soggetti  per  i  danni  da essi prodotti (e tra i quali non si fanno
rientrare  i  danni c.d. finanziari), in quanto mentre il giudizio di
responsabilita'  conduce  alla  condanna  per  il  danno  arrecato in
relazione  a  comportamento gravemente colposi o dolosi, la pronuncia
sul  conto  non  e'  finalizzata  che  ad accertare la veridicita' di
alcuni dati fondamentali della gestione.
    Anche alla luce dell'art. 111 novellato, e' escluso che in questa
sede  possa essere elevate responsabilita' a carico di amministratori
o dipendenti, in quanto si verte, ad una corretta lettura delle norme
e  della  piu'  autorevole dottrina, nell'ambito di una giurisdizione
oggettiva,  il  cui  risultato  finale  e'  e non puo' che essere una
«pronuncia  di  regolarita», e dunque una verifica sull'affidabilita'
di   dati,   ponendosi   quale   strumento   di   garanzia   per  gli
amministratori, nell'alternanza dei ruoli maggioranza-opposizione;
        d)  ne'  sussiste  duplicazione di funzioni, nel contesto del
rinnovato  sistema  dei  controlli,  rispetto  alla istituzione della
sezione della Corte dei conti, alla quale il legislatore (art. 13 del
decreto-legge  22  dicembre 1981, n. 786, come modificato dalla legge
di  conversione  26  febbraio 1982, n. 51, Disposizioni in materia di
finanza  locale),  ha affidato il compito di riscontro sulla gestione
finanziaria  degli  enti  locali  nell'intero  contesto della finanza
pubblica,  pur  nelle  accresciute  competenze  previste  dalla legge
finanziaria  2006 (legge n. 266/2005 art. 1, commi 266 e segg.), che,
tra  l'altro,  al  comma  168,  demanda  alla  stessa  una «specifica
pronuncia»  in  ordine  «a comportamenti difformi dalla sana gestione
finanziaria,   attribuendo   ad   essa  poteri  di  mera  "vigilanza"
sull'adozione da parte dell'Ente locale di misure correttive».
    Il   risultato   di   tale   attivita'  tuttavia  si  concretizza
sostanzialmente  in  un  «referto», che e' cosa ben diversa da quella
accertativa svolta nella sede giurisdizionale, attraverso un istituto
di   cui   inesattamente  si  denuncia  il  superamento.  In  questa,
attraverso  una  procedura  preliminare  che  appare moderna ed agile
(perche'  conduce  di  norma  ad un decreto di regolarita', emesso su
conforme   proposta  del  magistrato  istruttore  e  del  procuratore
regionale)  e garantista perche' in caso di contestazioni si apre una
fase  collegiale,  nel rispetto del principio del contraddittorio, si
perviene  ad  una  rapida  pronuncia  sulla  attendibilita'  dei dati
esposti  e  in  definitiva  sulla  correttezza  di  una  gestione del
bilancio  conforme  ai  «principi  fondamentali»  che  sono  presenti
nell'ordinamento  e che, ai sensi della lettera f) dell'art. 2, comma
4, legge 5 giugno 2003, n. 131, sono in procinto di essere oggetto di
apposito   decreto   legislativo.   Cio'   costituisce   un   momento
insopprimibile  di  garanzia  di  correttezza della gestione, come lo
stesso  giudice  delle leggi ebbe modo di affermare in piu' occasioni
(vedi infra);
        e) e' d'uopo ricordare che, anteriormente alla sentenza della
Corte  costituzionale  n. 55  del  1966,  il  conto del tesoriere dei
comuni e delle province veniva sottoposto al giudizio dei consigli di
prefettura,  previa  approvazione  da  parte del consiglio comunale o
provinciale,  ai  sensi  dell'art. 310, quarto comma, del testo unico
della legge comunale e provinciale n. 383 del 1934.
    Il  giudizio  sul  rendiconto  degli  enti locali aveva allora ad
oggetto  non  soltanto  la  gestione del tesoriere, ma anche il conto
consuntivo  dell'ente  locale, e riguardava, pertanto, sia i fatti di
gestione   della   tesoreria,   sia   i   fatti   di  gestione  degli
amministratori.
    A  seguito di tale sentenza, la competenza passo' alle competenti
sezioni  del  contenzioso  contabile  della  Corte  dei  conti, ma si
affermo'  in  via meramente giurisprudenziale un orientamento secondo
cui  la  stessa  Corte  avrebbe  potuto  far  valere,  attraverso una
chiamata  in  giudizio  iussu  iudicis,  la eventuale responsabilita'
patrimoniale degli amministratori.
    E'  fin  troppo evidente che tale giurisprudenza non ha oggi piu'
fondamento   alla   luce   dei  principi  innovativi  introdotti  con
l'art. 111  della  Costituzione,  per  cui  il  giudizio  deve essere
limitato  alla  sola  pronuncia  oggettiva  sulla  affidabilita'  del
risultato finanziario;
        f)  come  istituto di giurisdizione oggettiva, il giudizio in
questione  puo'  essere  ritenuto  strumento fondamentale di garanzia
della  certezza dei dati contabili e della correttezza delle gestione
e  anzi che interferire con le funzioni della oggi denominata sezione
delle   autonomie  verrebbe  a  costituire  importante  strumento  di
supporto  e completamento della sua funzione, in quanto il referto di
questa  si  baserebbe  su  dati resi piu' affidabili dall'intervenuta
pronuncia di regolarita', che auspicabilmente dovrebbe avere luogo in
termini  estremamente  ristretti. Del resto questa e' anche la chiara
volonta'  espressa  dal  legislatore  che  ha  introdotto  il termine
quinquennale   per   la   relativa   pronuncia  (art. 1  della  legge
n. 20/1994).
    4.  -  Sulla  base  delle predette considerazioni sembra a questo
giudice  che  si  possa riproporre, alla luce anche delle prospettate
riforme    federaliste    e    costituzionali,    la   questione   di
costituzionalita'  delle  norme  che hanno ristretto l'intervento del
giudice contabile nella materia alla sola gestione di cassa.
    Infatti,   la   sottrazione  del  conto  consuntivo  al  giudizio
necessario di conto appare in contrasto anche con l'art. 103, secondo
la  lettura  a questo data dalla Corte costituzionale (nelle sentenze
nn. 68/1971;   63/1973;   114/1974;   129/1981;  185/1982;  189/1984;
1007/1988)  e  dalla  Corte  di  cassazione  (per  tutte  cfr. ss.uu.
sentenze  nn. 2616/1968;  3375/3384  del  19  luglio 1989); entrambe,
infatti,  hanno  affermato  da  un  parte  che la norma predetta, nel
riservare  alla  Corte dei conti le materie di contabilita' pubblica,
sotto    l'aspetto   oggettivo,   ne   ha   confermato   la   nozione
tradizionalmente accolta, comprensiva del giudizio di responsabilita'
e  del  giudizio  di  conto,  e  dall'altra  che  questo  costituisce
insopprimibile  momento  di garanzia della correttezza della gestione
degli amministratori degli enti locali a tutela dei contribuenti.
    In  particolare,  nella  sentenza n. 114 citata si afferma che e'
principio    generale    del   nostro   ordinamento   il   necessario
assoggettamento  del  pubblico  denaro (proveniente dalla generalita'
dei contribuenti e destinato al soddisfacimento dei pubblici bisogni)
al  giudizio  necessario  di conto; infatti «a nessun ente gestore di
mezzi  di  provenienza pubblica e a nessun agente contabile che abbia
comunque  maneggio  di  denaro  e  valori  di proprieta' dell'ente e'
consentito  sottrarsi  alla garanzia costituzionale della correttezza
della gestione, garanzia che si attua con lo strumento del rendiconto
giudiziale».
    Tali  principi sono stati confermati con la sentenza n. 1007/1988
citata   della  Corte  costituzionale  che  ha  ritenuto  illegittimo
l'art. 122,  primo  comma,  del  d.l.  del  presidente  della regione
siciliana  del  29  ottobre 1955, n. 6, convalidato con l.r. 15 marzo
1963,  n. 16,  per  contrasto  con  l'art. 103, nella parte in cui si
attribuiva  al  consiglio  comunale  il potere di deliberare in conto
consuntivo  con  effetti  sostitutivi della decisione della Corte dei
conti: da tale sentenza si evince in maniera chiara che cio' che deve
essere  sottoposto  a  giudizio  e' non solo il conto di cassa, ma il
conto  consuntivo,  e  cio' corrisponde ad un «principio fondamentale
dello Stato di diritto» recepito dall'art. 103.
    5. - In piu', vi e' un altro motivo per rilevare la non manifesta
infondatezza  di un conflitto rinnovato tra i principi ivi confermati
e  la  scelta  legislativa  di  limitare  la  cognizione al conto del
tesoriere   a   legislazione   vigente  non  vi  sono  altre  opzioni
adeguatamente  praticabili  per dare seguito ai rilievi formulati con
riferimento  a  profili  che, appartenendo solo per riflesso al conto
del  tesoriere,  impongono  piu'  specificamente al conto finanziario
dell'Ente,  dato  che  risulta  mutato  il  quadro  complessivo della
disciplina   dei  controlli  per  la  finanza  locale,  quale  si  e'
determinata   a  seguito  di  interventi  legislativi  medio  tempore
intervenuti,  segnatamente  quelli  connessi alle leggi Bassanini non
ultima la abolizione dei CO.RE.CO.
    Ma  a  fronte  di  una  diminuita  estensione  e  intensita'  dei
controlli, si registra per adverso una acuita necessita' di tenere in
regola  i  conti  della  finanza  locale,  derivante  non  solo dalla
contingente  criticita'  della situazione economica nazionale, quanto
anche   dall'assunzione   del  nostro  Paese  di  vincoli  e  impegni
particolarmente rigorosi a livello nazionale e in sede internazionale
o   piu'   propriamente   sovranazionale  in  relazione  all'adesione
dell'Italia all'Unione Europea e alla Moneta Unica.
    Sotto  il  primo aspetto, non si puo' non richiamare alla memoria
la  portata  innovativa  della  disciplina  introdotta  con  la legge
costituzionale   n. 3   del  2001  nella  materia  finanziaria  e  la
successiva  normazione primaria in tale ambito. Basti considerare che
l'art.  29 della legge n. 289 del 27 dicembre 2002 ha disciplinato il
patto di stabilita' interno per gli enti territoriali. Tale normativa
ha  infatti  disposto  che ai fini della tutela dell'unita' economica
della  Repubblica,  ciascuna  regione  a  statuto ordinario, ciascuna
provincia e ciascun comune con popolazione superiore a 5.000 abitanti
concorre alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica - per
il triennio 2003-2005 (adottati con l'adesione al patto di stabilita'
e  crescita, nonche' alla condivisione delle relative responsabilita)
-  con  il  rispetto delle disposizioni normative emanate in virtu' e
per effetto dei principi fondamentali che sottendono il coordinamento
della finanza pubblica ai sensi degli artt. 117 e 119, secondo comma,
della  Costituzione.  Basti  considerare,  in  questa  sede,  che  e'
statuito  che  il  disavanzo  finanziario, di ciascuna provincia e di
ciascun  Comune  con popolazione superiore a 5.000 abitanti, non puo'
essere   superiore   a   quello   risultante   dall'applicazione,  al
corrispondente  disavanzo  finanziario del penultimo anno precedente,
di  una  percentuale  di variazione definita, per ciascuno degli anni
considerati,   dalla   legge   finanziaria.   Ad  esempio,  in  prima
applicazione, per l'anno 2005, la percentuale era fissata nel 7,8 per
cento   rispetto   al   2003.  Questa  stringente  disciplina  affida
fondamentali compiti di verifica di raggiungimento di tali obiettivi,
nell'ambito  degli  enti  locali,  non  ad  organi  esterni bensi' al
Collegio  dei  Revisori.  In  piu'  occasioni,  anche  da parte della
Ragioneria   generale   dello   Stato   e'   stato   posto  l'accento
sull'esigenza  del  rispetto  dei  principi di cui all'art. 119 della
Costituzione,    secondo   il   quale   «Comuni,   province,   citta'
metropolitane  e regioni ... possono ricorrere all'indebitamento solo
per finanziare spese d'investimento».
    E'   precisamente   in   considerazione  delle  norme  ricavabili
dall'art.  119 Cost. che il raccordo della finanza statale con quella
degli  Enti  territoriali  che  occorre dimensionare correttamente le
funzioni  attribuite  ad  organi terzi ed esterni, quali la Corte dei
conti,  non  solo  e  non  tanto  in  funzione di deterrenza verso le
patologie  o di sanzione, ma specificamente di garanzia (per lo Stato
e    per    gli    amministratori   locali)   della   veridicita'   e
dell'attendibilita'  delle  poste in bilancio, in assenza delle quali
l'attuazione dell'art. 119 Cost. appare impratibabile.
    Ma  la  riforma  del titolo V della Costituzione, se per un verso
riconosce  la piena autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle
regioni  e  degli  enti  locali,  per  l'altro,  attribuisce espresso
rilievo  ai  vincoli  derivanti  dall'ordinamento  comunitario,  che,
nell'ambito  della politica di bilancio sono costituiti da regole sui
saldi,  alle  quali  si  connette  anche la previsione di sanzioni. I
vincoli  derivanti  dalla appartenenza all'Unione economica monetaria
comportano  l'attribuzione a livello statale della responsabilita' in
ordine  sia alla determinazione degli obiettivi finanziari validi per
il  complesso  delle  amministrazioni pubbliche, sia al conseguimento
dei  saldi  prefissati  e,  in  generale,  al  rispetto  delle regole
stabilite dal Trattato CE e dal Patto di stabilita' e crescita.
    Il   rispetto   di   tutti   questi  vincoli,  in  un  quadro  di
potenziamento  delle autonomie territoriali, non puo' ragionevolmente
essere  realizzato  con  una  gestione  accentrata,  statale, di tipo
imperativo.  A  conferma  di  cio'  e'  recentemente  intervenuta  la
pronuncia  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha  giustamente
affermato   (Sent.   n. 417/2005)  l'illegittimita'  di  disposizioni
statuali   che  intervengano  con  «tagli»  nella  finanza  Regionale
rapportati a singole voci di spesa.
    La  natura  di bilancio misto del conto di gestione dell'ente, la
impossibilita'  di  rilevare  gli  impegni  o  gli  accertamenti, non
essendo  inseriti  nel  conto del Tesoriere, anche per la verifica di
obblighi  imposti  normativamente allo stesso (rispetto dei limiti di
pagamento, limiti alle anticipazioni di tesoreria etc.) oltre che gli
scostamenti  anomali  tra  riscossioni  ed  accertamenti o ritardi od
omissioni di pagamenti al fine di creare artificialmente un avanzo di
cassa  tale  da  influenzare  il  risultato di amministrazione (anche
attraverso la allocazione fuori del bilancio di spese cui non si puo'
far  fronte)  rende  le citate norme limitative contrastanti con ogni
principio di ragionevolezza e quindi con l'art. 3 della Costituzione,
dato  che  il  conto  del  tesoriere  e'  solo la parte esecutiva del
bilancio.
    6.  -  Cio',  ad  avviso  del Collegio, comporta la necessita' di
riespandere  alla  sua  fisiologica  area  di cognizione lo specifico
strumento del giudizio di conto, che appare strumento compatibile con
l'assetto delle autonomie sia sotto il profilo funzionale (provenendo
dal  potere giurisdizionale) sia sotto quello territoriale (grazie al
radicale  decentramento  attuato  dalla  Corte  dei conti nell'ultimo
decennio).   Ne'   puo'   ritenersi  equivalente  l'attribuzione  con
l'art. 7,  comma  7,  della  legge  5  giugno  2003,  n. 131 (recante
disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della Repubblica alla
legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n. 3) alla Corte dei conti
della  funzione  di referto (arricchita con le accresciute competenze
conferite  dalla legge finanziaria del 2006, artt. 166 e seguenti) in
ordine agli andamenti complessivi della finanza locale ed al rispetto
del patto di stabilita' e dei vincoli U.E.
    Sia  poi sufficiente accennare che l'assenza di sanzioni (come e'
stato  anche recentemente sottolineato da autorevole dottrina) sembra
legittimare  in  molti  casi le amministrazioni a non tener conto dei
rilievi formulati.
    E  d'altro  canto  forse  non e' un caso che la sanzione prevista
dall'art. 248, comma 5 del citato decreto legislativo n. 267/2000 per
gli amministratori ritenuti responsabili del dissesto finanziario non
risulta  sia  mai stata applicata: verosimilmente cio' discende anche
dalla  presenza  dei  limiti  introdotti  nel  giudizio  di  conto in
questione;  senza  considerare  che  sembra rispondere maggiormente a
criteri   di  ragionevolezza  l'esigenza  di  prevenire  il  dissesto
attraverso la verifica delle violazioni della normativa contabile nel
loro maturarsi.
    Anche  sotto  tale profilo si evidenzia il contrasto con l'art. 3
della  Costituzione  di  una normativa che, mentre vuol sanzionare il
dissesto, preclude alla Corte dei conti la possibilita' di verificare
le  poste  di  bilancio esercizio per esercizio, rettificando, se del
caso, il risultato di amministrazione.
    7.   -   Riassumendo  le  suesposte  considerazioni,  non  appare
manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
delle  norme limitative della giurisdizione della Corte dei conti sui
conti   giudiziali   quali   attualmente   vigenti  a  seguito  della
sostanziale  trasfusione  delle  disposizioni della legge n. 142/1990
nel   T.U.  267  del  2000.  Cio'  contrasta,  come  gia'  ampiamente
illustrato   supra,  con  il  principio  della  non  arbitrarieta'  e
irragionevolezza   dell'operato  del  legislatore  ordinario  (art. 3
Cost.);  con  il  rispetto  degli impegni assunti nei confronti delle
organizzazioni sopranazionali alle quali lo Stato italiano ha aderito
(art. 11 Cost.); con il rispetto sostanziale del limite minimo, posto
al   legislatore   anche   nell'esercizio   di   una   sua  legittima
interpositio, nella modulazione delle attribuzioni costituzionalmente
attribuite  alla Corte dei conti (art. 103 Cost.); con i principi del
raccordo  della  finanza  statale  con quella degli Enti territoriali
(art. 119 Cost.).